Essere vittime di bullismo – cicatrici indelebili dentro l’anima.

Non ricordo precisamente quando iniziò, ma so perfettamente come: ero a scuola e stavo uscendo per tornare verso casa, un paio di risatine veloci, uno spintone allo zaino con l’intento di farmi cadere, nuove risate, stavolta più intense, forse un insulto in parte velato, poi il silenzio.

Col tempo i ricordi possono sbiadirsi, assumere vaghi contorni, non essere più totalmente compresi, ma le sensazioni no. Soprattutto quelle spiacevoli, negative, quelle restano impresse dentro.

Fin quando furono solo spintoni allo zaino e risatine feci finta di nulla, d’altronde, che altro potevo fare? Ero un ragazzino di appena tredici anni, sovrappeso, particolarmente timido, non avrei saputo nemmeno come reagire. Il problema arrivò di lì a poco. Fu sorprendentemente semplice passare dalle spinte allo zaino agli insulti pubblici e palesi. Mi urlavano da una parte all’altra della strada, quando passavano sui loro motorini sfrecciando a tutta velocità tra le macchine in coda: “Frocio!”.

All’epoca non sapevo cosa volesse dire il termine bullismo, nessuno me ne aveva mai parlato o mi aveva spiegato cosa fosse e in che forme si sviluppasse.  Non è per nulla semplice spiegare e rendere comprensibili le sensazioni forti e contrastanti di chi ha vissuto certi momenti. Un insulto del genere, urlato a squarciagola, provocava un misto di terrore, stupore ed estrema vergogna. Terrore perché coloro che me lo dicevano non erano sicuramente persone dedite al volontariato umanitario, quanto piuttosto ragazzi problematici con tratti di aggressività caratteriale molto marcata, stupore perché non mi capacitavo di come stessero prendendo di mira proprio me. Ero un ragazzo riservato, silenzioso, buono con tutti, sempre estremamente gentile, perché proprio io? E infine la vergogna, l’estrema vergogna. Perché quell’insulto che mi urlavano in maniera così sprezzante, rappresentava un’etichetta terribile, una sorta di lettera scarlatta, e chissà che cosa avrebbero pensato i passanti, le persone comuni, la mia famiglia, se avessero sentito come venivo deriso. Magari avrebbero riso di me anche loro.

Il tempo passava e avevo adottato delle veloci quanto totalmente inutili misure preventive. Non appena sentivo un qualsiasi rumore che rassomigliasse a quello di un motorino, scattavo come una biglia impazzita cercando di togliermi dalla strada per non farmi vedere. A volte funzionava, altre meno, poteva non servire a nulla, se non a farmi andare in giro sempre in ansia, con le orecchie tese e gli occhi in guardia per cogliere il minimo movimento sospetto.

Poi, un giorno, mentre aspettavo il treno che mi avrebbe portato nella cittadina vicina per fare un giro con degli amici, mi caddero gli occhi su una delle panchine presenti in banchina, ed è lì che vidi gli insulti fino a quel momento “soltanto” urlati, scritti e impressi con pennarelli indelebili sulle panchine. E non vi erano dubbi che si riferissero a me, erano stati così accorti da aver anteposto il mio cognome prima dell’insulto, così, giusto per essere sicuri che il messaggio arrivasse forte e chiaro.

E lì il terrore, la paura vera, e una certezza sopra le altre: hanno scoperto il mio segreto, hanno capito come sono e lo stanno urlando, scrivendo, comunicando ovunque. Perché pensano sia una cosa orribile, perché credono che sia sbagliato, perché hanno voglia di farmi capire chi è che comanda nel mondo. Scrivendolo così, in questo modo palese, lo scopriranno i miei genitori, lo scoprirà mia sorella, lo scopriranno i miei amici, la scuola, anche gli sconosciuti sapranno chi sono e come sono. E allora bisogna agire, fare qualcosa, cancellare quelle scritte. Fino a quando me lo urlano dietro, posso resistere, posso controllarlo e negarlo, ma se rimangono prove, tracce indelebili, come faccio a difendermi? Che spiegazioni posso fornire? Come posso argomentare a dovere le mie ragioni?

Ovviamente, per quanti sforzi feci, mi sfuggì una delle varie scritte, poiché stavolta avevano scelto la fontana della città come luogo di sfogo del loro estro artistico ed ovviamente quella scritta fu scoperta dai miei genitori.

Domande, rabbia crescente, richiesta di spiegazioni: “ chi sono queste persone che hanno scritto questa cosa?”; “perché ti scrivono così?”; “ ti danno fastidio anche a scuola?”; “ dicci chi sono!” ed io sempre più piccolo, sempre più impaurito, sempre più terrorizzato alla sola idea di essere e sentirmi così esposto, così vulnerabile, così potenzialmente solo e incompreso in questa situazione.

“Ma no state tranquilli, è stata solo una bravata, nessuno mi dice nulla, nessuno mi da fastidio a scuola, è tutto ok”.

Niente, anche stavolta, niente. Non avevo reagito, avevo preferito minimizzare, lasciar correre, cercare di dimenticare in fretta, sperando anche che finisse in fretta tutto questo che andava avanti da quasi due anni ormai.

Speranza più che vana la mia, perché poi arrivò quel maledetto giorno di carnevale. E li trovai tutti lì, schierati di fronte a me. Tutti loro che negli ultimi anni mi avevano in misura più o meno palese bullizzato erano lì, in gruppo. D’altronde quello si faceva da me a carnevale. Uscire in gruppo con gli amici, mascherarsi, cercare di divertirsi.

Invece per me quello fu l’apice, in negativo, di tutta la vicenda. Mi circondarono, erano almeno in 12-13 persone. Iniziarono a insultarmi in pieno volto “lo sai che sei un frocio?”; tanto c’erano i carri che sfilavano, la musica alta, gente ovunque, nessuno sentiva, nessuno capiva.

Avevano i manganelli, non quelli di plastica leggera, quelli duri, pesanti. Iniziarono a manganellarmi. “Ti piace il manganello, frocio? Eh? Dai dillo che ti piace” e intanto cercavano di spingere il manganello dalla schiena nel mio sedere. Mi riempirono di schiuma da barba, ovunque. Anche nella bocca, stavo soffocando da quanta schiuma da barba mi sentivo addosso e non vedevo più poiché anche gli occhi non erano stati risparmiati e mi bruciavano come non mai. Dopo qualche minuto che sembrò durare un’eternità andarono via, lasciandomi lì, da solo, disarmato. C’erano gli addetti della polizia municipale che dirigevano il traffico per via della sfilata di carnevale, provai ad avvicinarmi a una signora chiedendole aiuto, quantomeno un fazzoletto per pulirmi e approfittando della situazione le dissi anche ciò che era successo: mi rise in faccia, minimizzando l’accaduto e giustificandolo col fatto che fosse carnevale: ”Dai si sa, è carnevale ragazzo, ogni scherzo vale”.

Nessuno capiva, nessuno comprendeva, ero solo, solo contro tutti.

Le mie amiche che erano uscite con me erano scomparse, fuggite quando ero stato aggredito, non mi restava altro che tornarmene a casa, cercare di darmi una sistemata, giustificarmi nuovamente facendola passare come una bravata; ma il vuoto, il dolore e il buio che mi erano penetrati nell’anima in quel pomeriggio di febbraio difficilmente sarebbero andati via nel tempo.

Il bullismo è uno dei mali di questo tempo. Inutili girarci troppo attorno, è innegabile che certe condizioni siano sempre esistite ma che abbiano preso larga diffusione negli ultimi anni.

Per definizione, esso è una forma comportamentale che veicola oppressione e violenza, più o meno intensa, perpetuata in maniera continua e ripetuta nei confronti di una persona più debole. Tale forma di oppressione  e violenza può essere attuata da una persona soltanto o anche un gruppo di persone ben definito. I comportamenti configurati come manifestazioni di bullismo sono molti e di vario tipo, dall’offesa, alla minaccia, alla violenza fisica e/o alla costrizione nel dover fare qualcosa.

Ma come capire, effettivamente, quando siamo di fronte ad una situazione definibile come bullismo?

Le caratteristiche principali sono essenzialmente tre:

  • Intenzionalità deliberata
  • Persistenza nel tempo
  • Asimmetria sociale, cioè quando tra le parti coinvolte c’è un’evidente differenza di forza e di potere (motivi anagrafici, di minoranza numerica in caso di bullismo di gruppo ecc.).

Di norma, poi, il periodo più fecondo per il bullismo è quello delle scuole, medie e superiori in particolar modo.

Si distingue, poi, tra:

  • Bullismo verbale (offese, prese in giro);
  • Bullismo fisico o diretto: dove la forza fisica viene utilizzata per nuocere alla vittima (spinte, aggressioni…);
  • Bullismo relazionale o indiretto: quando la vittima è oggetto di derisioni, in parte velate, pettegolezzi, che la portano a essere esclusa dal gruppo e/o poco considerata.

Molto spesso, purtroppo, chi subisce bullismo non ha il coraggio né la forza fisica e psicologica per reagire e ribellarsi, sta quindi al resto delle persone, che frequentano o conoscono la persona vittima di bullismo, rendersi conto della situazione, aiutarla e spronarla a reagire e denunciare, non restando nell’indifferenza.

Il bullismo non fa distinzioni di genere: possono esserne vittime e carnefici sia maschi sia femmine. Le differenze risiedono nel modo in cui il bullismo si manifesta in base al genere. Infatti, è stato notato come il bullismo femminile sia di natura molto più subdola e indiretta, premeditata. Mentre quello maschile sia prettamente diretto, fisico, aggressivo.

Proprio perché non fa differenze di genere né di orientamento sessuale, il bullismo molto spesso (e la mia storia ne è una viva testimonianza), può essere diretto a persone omosessuali, bisessuali, transessuali….ciò deriva dalla presenza nella persona o nel gruppo di persone che bullizzano, di un forte sentimento omofobico/omotransfobico, cioè la presenza di un atteggiamento di disgusto, intolleranza e avversione nei confronti di persone omosessuali, bisessuali, transessuali…

Questo tipo di bullismo, paradossalmente, più che alla persona in sé è rivolto alla sua sfera sessuale, nella dimensione riguardante la propria identità di genere e/o orientamento sessuale.

Spesse volte in questo tipo di bullismo la vittima ha molte più difficoltà nel reagire e nel chiedere aiuto, soprattutto se nessuno si accorge della sua condizione. Questo per la natura particolare e delicata di questa dinamica di bullismo che provoca nella vittima ulteriori paure e problematiche. Tali paure sono causate dal timore che prova la vittima al pensiero di non essere accettata e compresa da chi la circonda.

In questo l’ambiente familiare è fondamentale: se aperto e coeso anche di fronte a queste difficoltà, la vittima sarà facilitata senza dubbio e potrà reagire e trovare dei canali preferenziali di dialogo e di sfogo, se invece si tratterà di un ambiente chiuso e restrittivo, la vittima non potrà che risentirne ancor più negativamente.

Questi alcuni dati ricavati dalla letteratura scientifica:

  • Il 20% degli omosessuali e bisessuali ha tentato il suicidio in più di un’occasione

in età giovanile[1]

  • I giovani omosessuali e bisessuali tentano il suicidio 6 volte di più rispetto ai

loro coetanei eterosessuali[2]

  • I giovani omosessuali e bisessuali rappresentano più della metà di tutti i suicidi

giovanili[3]

Vi sono poi diversi ruoli e dinamiche che entrano in gioco in una situazione di bullismo:

nella dinamica tipica abbiamo la presenza di un bullo e/o un gruppo di persone a lui affiliate (gregari – dal lat. gregarius, der. di grex gregis «gregge», che fa parte del gregge), la vittima, eventuali difensori della vittima, il resto delle persone (astanti).

Il bullo rappresenta colui che prende l’iniziativa in maniera autonoma e intraprendente, spesso aiutato e circondati dai gregari (o aiutanti). Essi cercano, con il loro ruolo, di ottenere un’affermazione e una considerazione personale della quale si sentono privi, utilizzando quindi la forza e la prepotenza del bullo per cercare di risollevarsi.

La vittima, solitamente, assume un ruolo passivo, più debole e subisce le vessazioni e le prepotenze senza riuscire a reagire a dovere. Ci sono però alcuni casi anche di vittima denominata “bullo-vittima”, cioè quella persona che pur subendo prepotenze e angherie, cerca comunque di reagire e di provocare il bullo. A lungo termine una situazione di bullismo può portare danni irreparabili alla vittima, che potrebbero inficiare la vita della stessa per lungo tempo.

Infine, una larga parte nella dinamica del bullismo è occupata dal restante gruppo di persone (società/astanti) che molto spesso permangono nell’indifferenza totale andando a peggiorare una situazione già di per sé molto complessa per la vittima di bullismo.  Spesso, inoltre, si verifica il fenomeno della c.d. “deumanizzazione” della vittima.  Il bullo e il gruppo (giacché parte attiva della dinamica di bullismo) attuano un’opera completa di svalutazione della vittima, andandola a incolpare di atteggiamenti e comportamenti che, in quanto tali e oggettivamente sbagliati, portano alle loro reazioni negative. Questo tipo di svalutazione oltre che estremamente dannoso per la vittima di bullismo, riesce a favorire o addirittura eliminare completamente il senso di colpa del bullo/aiutanti, tale colpa, infatti, è trasferita sulla vittima.

Inoltre, chi non fa parte degli aiutanti della vittima ma resta a guardare senza reagire e/o difenderla, lo fa per la paura di ritorsioni, della possibilità di essere loro stessi vittima di bullismo e, nel caso del bullismo di matrice omotransfobica, di essere considerati omosessuali, e transessuali soltanto perché difensori delle ragioni della vittima.

E’ importante, fondamentale, avere la forza di reagire e superare queste situazioni. Forza che, nel caso manchi, potrebbe portare a conseguenze ancora più gravi, non solo sotto il profilo psicologico, ma anche riguardo al profilo fisico della persona con rischi elevati di comportamenti autolesivi e autodistruttivi.

La vergona, la paura che normalmente sono provate in queste situazioni, non devono impedire di parlare, reagire, chiedere aiuto, per il proprio bene in primis.

Io non l’ho fatto, non ho chiesto aiuto, non ne ho parlato con nessuno se non in anni recenti, non ho mai veramente reagito alle loro vessazioni riuscendo a vincerli, ho sempre cercato di resistere e combattere da solo questa battaglia, aspettando che il tempo passasse. Non siamo, però, tutti uguali, non tutti possiedono gli strumenti adatti e/o la forza per resistere.

Io sono sopravvissuto, quello si, mi sono attaccato al mio desiderio di vivere e superare questi momenti con tutto me stesso,

Ma questa sopravvivenza cosa ha lasciato dietro di se? Che peso provoca passare attraverso la dinamica del bullismo e riuscire a uscirne? Esteriormente siamo indenni, non c’è nulla che non vada, ma dentro? Nel profondo del nostro io e della nostra anima?

Ci sono e ci saranno sempre delle cicatrici, profonde, vive, indelebili.

In ogni storia di bullismo non c’è mai un vincitore e nemmeno un vinto: c’è solo un soggetto debole che se la prende con uno ancora più debole e approfitta dell’incompetenza e dell’analfabetismo emotivo che domina l’ambiente in cui entrambi vivono e si muovono per affermare un potere fittizio, fatto di degrado, umiliazione, solitudine e omertà.[4]

Di seguito sono riportati una serie di link utili a siti governativi e non dove poter  trovare supporto sia informativo che materiale:

  • http://www.smontailbullo.it/ : Sito del Ministero dell’Istruzione, Università e della Ricerca proprio sulle tematiche del bullismo. All’interno del sito è presente anche una casella di posta dove inviare le proprie segnalazioni e /o richieste.
  • http://www.azzurro.it/ : Servizio, anche telefonico, offerto dal Telefono Azzurro dove si può chiedere supporto ad un gruppo di esperti su tutte le tematiche connesse all’infanzia e in particolare sul bullismo.

Per la zona di Milano e dintorni (ma non solo!):

http://www.arcigaymilano.org/Web/telefono-amico/
 
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[1] (Rivers, 1996);

[2] (Teacher, 2003);

[3] (Teacher, 2003).

[4] (Alberto Pellai, in Elena Buccoliero e Marco Maggi, Bullismo, bullismi: le prepotenze in adolescenza, 2005)

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